La pastiera napoletana

Alberigo Tuccillo Società, storia 2 commenti

La ricchezza degli ingredienti e la complessità dei gusti sembrano richiamare la cucina di corte. Ma l’incredibile affonda le sue radici nel mito. E dobbiamo fare un salto indietro fino all’epoca romana o forse addirittura a quella greca. Quando, secondo la leggenda, la sirena Partenope aveva scelto come dimora il Golfo di Napoli, da dove si spandeva la sua voce melodiosa e dolcissima, per ringraziarla, si celebrava un misterioso culto durante il quale la popolazione portava alla sirena sette doni: la farina, simbolo di ricchezza; la ricotta, simbolo di abbondanza; le uova, che richiamano la fertilità; il grano cotto nel latte, a simboleggiare la fusione di regno animale e vegetale; i fiori d’arancio (o di altri agrumi, visto che la diffusione delle arance in quell’epoca era molto limitata in Europa (fatto, tra l’altro, che suscita non pochi dubbi sulla reale fondatezza storica della leggenda…), profumo della terra campana; le spezie, omaggio di tutti i popoli; e lo zucchero, per celebrare la dolcezza del canto della sirena. Partenope gradì i doni, ma li mescolò creando questo dolce unico.

Solo una leggenda, certo. Ma è sicuro che, per celebrare il ritorno della primavera, le sacerdotesse di Cerere portassero in processione l’uovo, simbolo della vita nascente poi diventato ‹rinascita› e ‹resurrezione› con il cristianesimo. Il grano o il farro, misto alla morbida crema di ricotta, potrebbe derivare invece dal pane di farro delle nozze romane, dette per questo ‹confarreatio›. Un’altra ipotesi fa invece risalire la pastiera alle focacce rituali dell’epoca di Costantino, derivati dall’offerta di latte e miele che i catecumeni ricevevano durante il battesimo nella notte di Pasqua.

Antenate piuttosto incerte, però, del dolce che noi conosciamo, che con ogni probabilità, nacque molto più tardi: nel XVI secolo. In un convento, come la maggior parte dei dolci napoletani, è probabilmente quello di San Gregorio Armeno: Un’ignota suora volle preparare un dolce in grado di associare il simbolismo, pagano cristianizzato, di ingredienti come le uova, la ricotta e il grano, associandovi le spezie provenienti dall’Asia e il profumo dei fiori d’arancio del giardino conventuale. Quel che è certo è che le suore del convento di San Gregorio Armeno erano delle vere maestre nella preparazione delle pastiere, che poi regalavano alle famiglie aristocratiche della città. «Quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro padroni — racconta la scrittrice e gastronoma Loredana Limone — dalla porta del convento che una monaca odorosa di millefiori apriva con circospezione, fuoriusciva una scia di profumo che s’insinuava nei vicoli intorno e, spandendosi nei bassi, dava consolazione alla povera gente per la quale quell’aroma paradisiaco era la testimonianza della presenza del Signore.»

Si dice che perfino l’ombrosa regina Maria Teresa D’Austria, ‹la Regina che non ride mai›, consorte del goloso ‹re bomba› Ferdinando II di Borbone, si fosse lasciata sfuggire un sorriso dopo un morso alla benamata pastiera. «Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo», avrebbe commentato Ferdinando.

Ricetta (dosi per sei persone)

  • 5  uova (2 per la pasta frolla e 3 per il ripieno)
  • 350 g di zucchero (100 g per la pasta frolla e 250 g per il ripieno)
  • 100 ml di olio di semi di girasole
  • 8 g lievito vanigliato
  • 350 g di farina 00
  • 250 g di grano o di farro
  • 250 g di ricotta
  • 200 ml di latte
  • 1 cucchiaino di cannella
  • 1 limone (1 scorzetta)
  • 20 ml di aroma di millefiori

Procedimento passo per passo

  • Versare in un pentolino il grano unendovi il latte, un cucchiaino di cannella e della buccia di limone. Mescolare bene il composto e portarlo sul fornello.
  • Cuocere il grano fino a quando il latte si sarà assorbito (ci vorrà un quarto d’ora, minuto più, minuto meno). Appena cotto, togliere dal fornello il pentolino e togliere la scorza di limone.
  • Versare il grano in una ciotola piuttosto capiente e tenerlo da parte.
  • Ora si va a preparare la frolla (senza burro!): rompere le uova in una ciotola, aggiungere lo zucchero, l’olio di semi e mezza bustina di lievito. Mescolare aggiungendo della farina poco per volta (250 g circa).
  • Continuare a impastare sul piano di lavoro aggiungendo man mano la farina rimanente. L’impasto sarà pronto quando non si attaccherà più alle mani.
  • Riprendere il grano cotto e aggiungervi la ricotta. Amalgamare bene il tutto, poi unirvi lo zucchero.
  • In un’altra ciotola separare i tuorli dall’albume e mescolarli con il grano.
  • Montare a neve l’albume.
  • Poco per volta, incorporare il bianco d’uovo montato al grano mescolando con un cucchiaio. 
  • Aggiungere l’aroma millefiori.
  • Ungere ed infarinare una teglia rotonda dal diametro di 25 cm circa.
  • Prendere due terzi della pasta frolla, stenderla con il matterello e sistemare la pasta stesa nella tortiera.
  • Tagliare i bordi in eccesso con un coltello, quindi versare nel fondo il ripieno di crema e grano.
  • Stendere il resto della pasta e ricavare delle strisce di circa un centimetro e mezzo di larghezza per realizzare la guarnizione a crostata.
  • Infornare a 170 °C (forno preriscaldato) per i primi 50 minuti, abbassare a 160 °C per gli ultimi 15 minuti.
  • Far raffreddare la pastiera prima di servirla. 

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