Quanti re

Alberigo Tuccillo Letteratura Lascia un commento

Mi pareva che avessimo viaggiato per un bel po’ verso ovest, poi più verso sud —esattamente non saprei dirlo. Il deserto sembra tutto uguale. A dire il vero, non avevo idea di dove ci trovassimo. Ci eravamo accampati prima del tramonto e, come facevo sempre ogni sera, mi stavo occupando dei cammelli. I poveri animali erano troppo stanchi e troppo tesi anche per riposare dopo la faticosa giornata di marcia attraverso l’infinito mare di sabbia. Li accarezzavo per calmarli, ma non serviva. Mi dispiaceva terribilmente per loro, anche se le mie stesse ossa facevano così male che mi chiedevo chi stesse peggio al mondo, il cammello o il mandriano cammelliere.

Nel frattempo, era ormai calata la notte, quando sentii una voce che mi diceva: «Bravo, bravissimo, ragazzo mio. Vedo che te ne intendi di animali. Ci sai fare tu.» — «Chi è là?» feci allarmato e alzai la lampada, che fin lì avevo tenuto a fiamma bassa per risparmiare olio. «Stai tranquillo, ragazzo», continuò la voce mentre si avvicinava, «non preoccuparti, sono venuto solo per parlare con qualcuno, per fare due chiacchiere con chi è buono con gli animali — a cuor leggero, ti dico. Non ti farò del male, né di certo ne farò ai tuoi cammelli.»

Quella voce era dolce e melodiosa, così la mia eccitazione gradualmente si placò, tanto che risposi scherzosamente: «I miei cammelli? Magari fossero miei! Sono solo un servo qualunque e non possiedo altro che questa borraccia mezza vuota e i vestiti malandati che indosso. Se possedessi anche solo uno di questi cammelli, mi sentirei un re. — Su una cosa però avete ragione: agli animali voglio veramente bene. In questo non vi sbagliate, mio signore.»

Ora, nella pallida luce della lampada potevo vedere il volto dello straniero, che doveva provenire da molto lontano. All’inizio pensai che fosse uno dei servi del re che avevamo incontrato nel pomeriggio, che con la sua carovana si era unito alla nostra, che aveva poi viaggiato con noi fino a sera e che ora era nello stesso accampamento. Ma poi ebbi la sensazione sempre più chiara che lo straniero fosse egli stesso più simile a un principe che non a un servo. Era una figura di strana bellezza. I capelli e la barba erano di uno strano colore, come l’oro o come qualcosa di simile. E gli occhi non erano neri, bensì come il cielo del mattino. Per un attimo pensai che stessi sognando, perché non avevo mai visto nulla di simile. Indossava indumenti mai visti, bianchi come la neve, sebbene neanche la neve l’avessi mai vista. Sull’abito non vi era traccia di polvere né erano logori, come ci si aspetterebbe da chi ha passato dei giorni a vagare nel deserto. Chissà da dove veniva?

Ma ormai non mi scervellavo più per capire che cosa ci facesse un principe nel recinto dei cammelli di un re straniero incontrato per caso nel deserto; ero semplicemente troppo stanco. Volevo solo sdraiarmi e assaporare le poche ore di sonno che mi restavano fino all’alba.

Ma a prescindere dal fatto che fosse un principe, un servo o addirittura un cammelliere, egli non si rese conto — o non volle rendersi conto — di quanto io fossi esausto e sonnolento. Continuava a chiacchierare e all’improvviso mi fece addirittura una promessa sconcertante: «Un cammello tutto tuo? Se è questo che tanto desideri, vedrai che presto ne possederai non uno, ma una dozzina!» «Ora però vi prendete gioco di me», dissi rattristito, «chiunque voi siate, non è carino da parte vostra tormentarmi con simili promesse e prendermi in giro per un mio sogno tanto ingenuo quanto innocuo. Non ha mai chiesto che il cielo mi desse più di quello che ho. Ma è poi tanto irriverente avere un sogno irrealizzabile a cui uno di tanto in tanto si abbandona senza sperare davvero che si avveri?»

«Ti ho assicurato», disse lo straniero misterioso, «che non farò del male né a te né ai tuoi animali, quindi credimi, non ho nessuna intenzione di prenderti in giro. Piuttosto, dimmi che cosa sai del viaggio che state facendo.» «Ah, perché non mi chiedete qualcosa di più semplice? Io non ne ho la più pallida idea. Tutto è cominciato qualche settimana fa, quando una notte è apparsa quella stella che da allora brilla nel cielo occidentale. Io e molti altri pensavamo sì che fosse la stella più luminosa e più bella di tutto il cielo, ma non era che una stella, nient’altro che una stella. Quella notte, tuttavia, il nostro re salì sulla torre più alta del palazzo e vi rimase fino al mattino senza mai staccare gli occhi da quella nuova stella. Fece lo stesso la notte successiva e lo ripeté quella dopo, e ancora e ancora. Ben presto passarono due settimane e il re non era sceso dalla torre né per mangiare né per dormire. Durante il giorno riposava lassù e si nutriva di datteri, che di tanto in tanto gli venivano portati da un servitore che non aveva ricevuto alcun ordine di farlo.

Trascorsi che furono quattordici giorni e quattordici notti, il re finalmente scese dalla torre. Chiamò i servi e ordinò loro di fare tutti i preparativi per un lungo viaggio. Da sudditi fedeli che siamo, obbedimmo e la sera stessa la carovana partì verso ovest, anche se al tramonto non mancavano che due o tre ore. Ci accampammo poco dopo essere entrati nel deserto, tanto che la nostra città era ancora così vicina che un debole luccichio se ne vedeva all’orizzonte, a est, da dove eravamo venuti.

Ma il nostro re non guardava mai verso oriente. Il suo sguardo era e rimaneva fisso a ovest, catturato dalla stella che brillava sempre di più di notte in notte. In quella prima notte di viaggio, cominciarono a circolare voci sul fatto che il viaggio ci avrebbe portato da un altro re e che la stella avrebbe guidato i nostri passi verso una destinazione ancora sconosciuta.

Così accadde che dopo tre giorni di marcia incontrammo un’altra carovana, altri cammelli, altri servi e un altro re. Allora il nostro padrone andò incontro all’altro sovrano e quando i due si furono salutati, si abbracciarono come fratelli.

Era come una favola. Una stella ci aveva guidati, anche se non capivo che cosa questo volesse dire, e poi avevamo incontrato davvero un re in mezzo al deserto.

«E ora cosa faremo?» mi chiesi, «torneremo indietro o andremo alla corte di quest’altro re?» Con nostro grande stupore, però, i due re ci mandarono a chiamare e ci dissero che avevamo ancora molta strada da fare e che avremmo continuato a seguire la stella finché non ci avesse condotto dal Re dei Re.

«Ah, mio nobile signore, oggi pomeriggio, quando abbiamo incontrato voi, un’altra carovana, altri cammelli, altri servi e un altro re, ho pensato che fosse finalmente il re giusto, l’enigmatico Re dei Re, e che le fatiche, la fame e la sete, la marcia e il sonno breve fossero finalmente finiti. Ma anche se ormai sono tre i re a guidare quella che è già un’enorme carovana, tutti e tre ci dicono che di re quello giusto lo dobbiamo ancora cercare. Quanti altri re dovremo ancora incontrare? Domani mattina saremo di nuovo in cammino, e nessuno sa per quanto tempo si andrà avanti così.»

Lo straniero sorrise come se avessi detto qualcosa di divertente, poi fece un’altra strana profezia: «Ci sono solo poche miglia davanti a te attraverso il deserto, alla fine del quale si trova una terra chiamata Palestina e una città chiamata Betlemme, che sarà la più esaltata di tutte le città, perché in essa è nato il Re del cielo e della terra. È lì che si concluderà il vostro viaggio. Ma ora voglio chiederti un gran favore: ho sete; sii generoso e dammi da bere dalla tua borraccia.»

Era già molto tardi. I cammelli si erano finalmente calmati e stavano sonnecchiando, e io facevo fatica a tenere gli occhi aperti per la stanchezza. Passai allo straniero la mia borraccia e non ebbi la forza di preoccuparmi di ciò che mi aspettava il giorno dopo: una sete atroce. Guardai il nobile mentre metteva la bottiglia e beveva fino all’ultima goccia della mia acqua. Poi mi addormentai.

Quello straniero dagli aurei capelli dagli occhi color del più limpido cielo del mattino non lo vidi mai più — ma ogni sua parola si avverò. Il giorno seguente raggiungemmo, come aveva predetto, la piccola città di Betlemme, che a quel tempo era sconosciuta a chiunque vivesse a più di un giorno di distanza ma che un giorno ogni bambino conoscerà. Lì trovammo il Re degli uomini, che era un semplice neonato che nulla aveva di regale, ma ci inginocchiammo davanti a lui.

Il mio re terreno, come già aveva detto lo straniero, mi regalò dodici cammelli come ricompensa per il mio servizio.

Ma c’è un’altra cosa assai sorprendente: la mia borraccia, che lo straniero misterioso la notte prima aveva vuotato fino all’ultima goccia, la mattina seguente era miracolosamente colma d’acqua fresca di sorgente, e da quel giorno, nonostante ne abbia bevuto spesso io stesso e abbia invitato molte persone a dissetarsi da essa, l’acqua non si è mai esaurita.

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